Luigi Salvatori, luoghi della memoria emotiva sospesi nell’indefinitezza del tempo
A volte i frammenti di alcune immagini rimango talmente impresse nell’emotività dell’artista,
suscitandogli sensazioni che continuano a vibrare a lungo, da indurlo a scegliere la narrazione dei
luoghi come manifestazione predominante della propria creatività. L’artista protagonista di oggi
sceglie il paesaggio per raccontare emozioni che fuoriescono dall’opera per arrivare dritte alle
corde interiori dell’osservatore.
Il paesaggio è stato per lungo tempo, nel corso della storia dell’arte, messo in secondo piano
rispetto a soggetti religiosi o i ritratti di nobili o ancora di soggetti mitologici tipici del periodo
preottocentesco, tuttavia a partire dalla metà del Diciassettesimo secolo il Realismo francese e
quello inglese cominciarono a dare priorità alle riproduzioni di scorci di paesaggi che divenivano
assoluti protagonisti di quelle tele. A quel primo passo verso la riscoperta dell’emotività suscitata
da luoghi di incredibile impatto emotivo ma ancora legati al disegno, ai contorni definiti e alla forma
come punto di partenza dell’opera d’arte, sono seguite le ribellioni dei Macchiaioli toscani, che
affermavano l’importanza delle macchie di colore necessarie a definire le immagini e a generare la
luminosità del risultato finale, dichiarando l’inutilità della definizione data da un disegno che, di
fatto, nella realtà non esiste. Le tematiche magistralmente interpretate da artisti del calibro di
Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca e Giuseppe Abbati, quelli tra gli
esponenti della corrente che diedero priorità ai paesaggi tralasciando in molti dipinti la figura
umana, furono poi elaborate e amplificate dall’Impressionismo che si staccò ancor più dall’eredità
Realista, ancora presente nei Macchiaioli, per entrare in un mondo pittorico più indefinito, più
frammentato nella composizione al punto di rendere necessario allontanarsi dalla tela per fruire in
modo completo dell’immagine raccontata.
Luigi Salvatori si ispira alle linee guida del movimento pittorico toscano, evidente soprattutto nelle
opere meno recenti nelle quali risalta il tocco poetico e luminoso degli scorci riprodotti, per poi
tendere lentamente e in modo via via più incisivo verso un Espressionismo romantico, in cui
l’emozione non è gridata, non è manifestata in modo forte, impulsivo, bensì sembra essere
sussurrata, appare morbida, avvolgente nei confronti delle immagini che racconta. Nel lavoro
Esplosione di primavera sul mare il suo sguardo indugia sull’armonia della natura, sul mare
lontano che appare come cornice del verde degli steli dei fiori, gialli e vivaci, sulla perfezione dei
dettagli che compongono il dipinto e che divengono l’uno comprimario dell’altro, come se l’accento
di Salvatori volesse posarsi sulla melodia completa, fatta anche del rumore delle onde e del vento
tra i fiori. Questa è la sensazione che si avverte osservando l’opera, quella di essere lì, in quel
paesaggio silenzioso eppure pieno di suoni lievi, gli stessi che l’artista ha sentito quando si trovava
di fronte a quel luogo incantato. Anche in Rovo sotto la neve la delicatezza interiore di Salvatori, la
sua profonda sensibilità, si sofferma sulla poesia dei fiocchi che si posano su un ramo, immagine
semplice e tuttavia piena di armonia, di ammirazione per uno spettacolo della natura, per
l’equilibrio che si svela nella sua semplicità ma che racconta e rivela il frammento di emozione che
ha impresso nello scrigno interiore dell’artista. Le opere più recenti tendono invece la mano
all’Espressionismo, per i loro colori quasi irreali ma nonostante questo in grado di esaltare i
monumenti romani, città in cui Salvatori vive e opera, vissuti forse al mattino presto, quando il
traffico ancora non è in grado di offuscarne la bellezza, la maestosità, la struggente nostalgia per
un tempo passato in cui gli edifici non erano monumenti storici bensì luoghi in cui la vita scorreva,
punti di incontro di antiche civiltà capaci di lasciare un profondo segno nei secoli successivi. Ecco
quindi che lo stile di Salvatori si trasforma in lirica, in necessità di rendere omaggio a scorci visibili
quotidianamente ma quasi trasformati dall’espressività che l’artista è capace di infondere loro, quel
collocarli in un’atmosfera magica, poetica, irreale proprio per astrarli dal contesto e lasciarli sospesi
tra cielo e terra, tra passato e presente, rendendo l’indefinito l’elemento coprotagonista di opere
come Colosseo e Piazza Navona, nelle quali il dettaglio è messo in secondo piano rispetto
all’atmosfera rarefatta che emana da quei simboli senza tempo. O nei lavori Sant’Ivo alla Sapienza
e Roma dal Vittoriano in cui il grattage lievemente accennato contribuisce a regalare
all’osservatore la sensazione di un passato che, nonostante i secoli trascorsi, si aggrappa al
presente senza dimenticare tutto ciò che sotto i suoi occhi si è compiuto e delle trasformazioni a
cui, silenziosamente, ha assistito. Il percorso artistico di Luigi Salvatori inizia presto in virtù di
un’eredità genetica lasciatagli dai nonni, Marcello Salvatori e Mario Fornari entrambi pittori, che lo
conduce a essere notato all’età di dodici anni e selezionato per esporre alla Galleria Nazionale
Palazzo delle Esposizioni di Roma. Da quel momento in poi la sua vita è divisa tra la sua
professione di architetto - si dedica alla progettazione di Chiese Nuove, di restauri, ristrutturazioni
e arredi liturgici di Chiese e ambienti sacri e comunitari – e quella di artista. È Presidente
dell’Associazione Cento Pittori di via Margutta, ha esposto in numerose collettive presso importanti
luoghi istituzionali ricevendo molti premi ed è presente in molti cataloghi e pubblicazioni d’Arte.
Roma, gennaio 2020 - Marta Lock, critica d’arte